COVALTUR
Consorzio Valorizzazione Turistica
Guide per Itinerari Turistici
La figura professionale oggetto dell’intervento formativo deve possedere capacità e competenze multidisciplinari atte all’inserimento in un organico del quale sarà parte integrante al termine del corso riunendo in un’unica figura le competenze e la professionalità del prestatore d’opera e dell’amministratore di società.
Con riguardo a queste due funzioni fondamentali per il buon andamento della futura impresa i discenti dovranno apprendere conoscenze, competenze e comportamenti in materia di:
Inoltre il discente dev’essere in grado di:
Questa figura professionale dovrà senz’altro essere presente all’interno di una impresa che voglia valorizzare il patrimonio artistico della comunità.
I destinatari dell'Attività Formativa sono stati:
- Benedetto Marinella
- Carriero Franca
- Di Lorenzo Doriana
- Iacovera Donatina
- Manzella Maria Grazia
- Pepe Loredana
- Potenza Angela
- Virgilio Antonella
Tutor: Rapolla Felice
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Introduzione
A chi cerca un angolo tranquillo per ritornare ai ritmi lenti della natura, un luogo dove i rapporti tra le persone sono ancora sani e diretti, dove il pane ha davvero il sapore ed il profumo del pane, dove Amicizia ed Ospitalità sono leggi sacre, proponiamo questo itinerario che si sviluppa attraverso un panorama storico-culturale, a cui si associano i valori legati all'ambiente ed ai suoi magnifici scenari. Anticamente la nascita di una borgata, di un paese, avveniva principalmente nei punti più alti della zona, cioè su un colle, su un monte, intorno ad un castello, in luoghi aspri, con accesso da stretti vicoli proprio per difendersi da invasioni barbariche, guerre. Uno di questi paesi è Pietragalla. Diverse sono le supposizioni circa il nome "Pietragalla". Il termine "Petreguallo," probabilmente deriva dalle pietre sporgenti dal monte su cui furono edificate le case di questo centro: " pietre a galla", in superficie, pietre che affiorano. Una seconda ipotesi afferma che il termine Pietragalla deriva dal greco " Gal" che sta a significare "Pietra candida".
Lo stemma più comunemente usato per designare Pietragalla è un gallo su tre monti, e sui monti tre torri. I tre colli rappresentano: la Serra, la Terra e San Michele; le tre torri: Arco Melazzi, Arco Settanni, Arco Recchielonghe.
Itinerario cittadino
Il nostro itinerario si sviluppa all'interno del centro abitato di Pietragalla, per farvi conoscere le attrattive della nostra cittadina. Si parte dal Piano di S.Cataldo, dove troviamo subito la chiesetta dedicata al Santo che è stato protettore di Pietragalla fino al 1729. All'esterno, immediatamente colpisce la vista della statua bronzea raffigurante il santo. La chiesetta è sicuramente antecedente al 1500: all'interno presenta un solo altare in muratura con balaustra; un particolare soffitto ligneo e una caratteristica acquasantiera lapidea. Lasciata la chiesa di S.Cataldo ci addentriamo nel centro storico attraversando la "Salita del notaio Zotta" (Via Cavour), da dove si può ammirare il Palazzo detto "Sparacannone". Raggiungiamo la chiesa di S.Maria Delle Grazie che, dopo la chiesa Madre, è una delle più antiche del paese (XVII sec.). Fatta costruire con materiale di risulta proveniente dalla chiesa di Casalaspro, crollata nel XV sec. a causa di un disastroso terremoto, contiene all'interno del campanile una delle due campane appartenenti originariamente all'edificio religioso "CASALIS ASPRUM"...
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La storia di questo palazzo è legata al nome dei Signori Acquaviva D'Aragona, già fondatori del castello Angioino in Cancellara intorno al 1500,epoca in cui si diede avvio alla costruzione della struttura ducale di Pietragalla. Di tale prima costruzione, non rimane, però, nessuna traccia, essendo stata rasa al suolo dal terremoto del 1456 come prima accennato. Detto terremoto rase al suolo anche la vicina cittadina di Casalaspro, i cui abitanti rifugiatisi a Pietragalla, collaborarono alla ricostruzione del Palazzo su una pianta diversa dall'originaria. Nel 1480 Caterina Zurlo, di nobile famiglia napoletana, ottenne dal re Ferrante l'investitura di Pietragalla. Nel XVI sec.il feudo di Pietragalla passò ai Conti di Pacentro e successivamente alla famiglia Ursini che diede inizio al programma di ampliamento del palazzo. Nel 1653 le terre di Pietragalla e Casalaspro furono acquistate dal Barone di Bisceglie: Francesco Melazzi. I Melazzi si succedettero alla baronia di Pietragalla per 4 generazioni, finchè una delle figlie sposando Giulio Acquaviva D'Aragona, diede l'avvio all'insediamento di questo nuovo casato. Nel 1926 tutta la proprietà venne venduta e divisa tra Raniero Pipponzi, amministratore dei duchi D'Aragona e l'avvocato Catalano di Vaglio, che lo rivenderà al parroco don Donato Zotta.
All'inizio del complesso ducale troviamo i resti di una chiesa ad unica navata, coperta con capriate lignee, al cui interno son ancora evidenti i segni dell'antico altare (testimonianza diretta dell'influenza monastica che caratterizza tutta l'Italia meridoniale dal VII al VIII sec.). Il palazzo si presenta sotto forme quattrocentesche, costruito da maestranze non locali, probabilmente avvalendosi della consulenza di architetti napoletani. Esso costituisce un elemento emergente d'architettura medievale in un paese che ricalca tutti gli schemi morfologici dell'urbanistica di quel periodo. Sito sul punto più strategico nella circonferenza del primo nucleo storico che comprende l'arca della parte alta del paese, il palazzo è imponente per le sue dimensioni e la sua complessità architettonica. I particolari caratteristici del fabbricato consistono in alcuni portali bugnati, di ottima fattura e conservazione, un suggestivo passaggio archivoltato dell'ala est del palazzo che mette in comunicazione la zona del nucleo antico con l'esterno. Sopra di esso due finestre richiamano nello stile quelle del palazzo ducale di Venezia, e probabilmente sono state costruite con intenzionale imitazione. Nella facciata centrale ha spicco un ampio portico sopra il quale vi è una loggetta che si estende per quasi tutta la facciata dell'edificio, sorretta per il resto da sporgenze che aumentano il volume del palazzo e sono munite di ampi portali, visibilmente restaurati altre loggette isolate di notevole pregio contribuiscono a rendere armonioso il palazzo-fortezza.
Adesso ci accingiamo a raggiungere la chiesa Madre Costruita sul punto più alto dei tre monti su cui si sviluppa l’abitato, il monte "Terra", si presume sia stata eretta tra il 1200 e il 1300. La parte più antica corrisponde all’attuale sacrestia, mentre la forma attuale in stile Neoclassico si deve alle modifiche e agli ampliamenti apportati tra il 1712 e il 1750. L’impianto, originariamente a croce greca, e successivamente trasformato in croce latina con l’aggiunta del presbiterio, presenta tre navate: una grande e centrale, nella quale è situato l’altare maggiore o "capo altare," e due piccole poste lateralmente che ospitano gli altari minori. Navata, transetto e zona absidale sono coperti da volte a botte lunettate. All’esterno si erge il campanile, dall’imponente struttura muraria, con la cupola impostata sopra un cornicione di pietra lavorata, con le tre campane fuse nel lontano 1865. All’interno è da rilevare la presenza di un fonte battesimale in pietra "ricamata," risalente al XVI sec., posto nella navata di sinistra, con la vasca e la cappa a forma di piramide adornato di motivi geometrici e con il piede a forma di aquila. La parete di fondo è affrescata con il Battesimo di Gesù. Oggi la chiesa ci appare spoglia delle sue importanti ricchezze, in seguito ai numerosi lavori di restauro, ma possiamo ancora godere della splendida fattura del Crocifisso ligneo databile intorno al 1700 posto sul primo altare laterale, nonché dei due dipinti su tela opera di artisti locali e di una tavola a olio posta nell’abside, rappresentante l’Annunciazione dell’Angelo alla Madonna alla presenza dei Santi. In quest’ultima è riconoscibile l’influenza della scuola napoletana barocca. Nella chiesa è conservata la statua di S. Teodosio, Patrono di Pietragalla.
La tradizione racconta che il parroco del paese, nella notte precedente il giorno della scelta del nuovo Protettore, sognò di trovarsi in una grande sala alle cui pareti erano addossate numerose urne contenenti le reliquie di Santi Martiri. Una di quelle urne, collocate in un angolo della sala, recava la scritta:" San Teodosio Martire". Avvicinatosi all'urna gli apparve un giovane bello e splendente, che lo invitò a scegliere lui come protettore di Pietragalla. Svegliatosi, non fece più caso al sogno. Ma una volta giunto in Vaticano, si avverò in pieno quello che aveva sognato. Il Santo e le reliquie vennero traslate a Pietragalla, dove giunsero il giorno 8 Maggio. Poiché il 10 Maggio in Pietragalla si festeggiava San Cataldo, l'arrivo dell'urna contenente le reliquie di San Teodosio fu fatto coincidere con tale data, quindi si stabilì che il giorno 10 Maggio venisse ricordata la traslazione. Ci sono diverse leggende su S. Cataldo che testimoniano la devozione dei fedeli nei suoi confronti. A tale proposito si narra che nel Primo Dopoguerra, durante la raccolta del grano per i festeggiamenti in onore del Santo Patrono, uno dei contadini addetto alla "Questua" tenne per sé una parte del grano donato. Una sera al ritorno dalla campagna, il contadino venne mortalmente colpito da un lampo. Si racconta inoltre che le donne in gravidanza si rivolgessero a San Teodosio affinchè il nascituro prendesse le sue belle sembianze.
Lasciata la chiesa Madre attraversiamo via Roma, lungo la quale si affacciano i palazzi nobiliari della città: Palazzo Galotta, Palazzo Zotta, Palazzo Messina (di recente acquistato dal comune per farne la biblioteca comunale) e Palazzo Vertone (ormai diroccato). Dopo Palazzo Vertone attraversiamo "Arco Settanni", ora Via Cesare Battisti, che insieme ad "Arco Melazzi" (Arco del Duca) ora Via Roma ed Arco Recchielonghe, ora Via F.lli Bandiera, costituiva uno degli accessi al centro abitato antico. Ci incamminiamo per Via Mancosa, così chiamata perchè è la parte situata a Nord, dove non giunge mai il sole: è la via su cui si affacciano le numerose cantine, una della maggiori caratteristiche di Pietragalla. Dalla Mancosa si intravede "Contrada CASALASPRO". Fino ad oggi pochi sapevano dell'esistenza di "Casalis Asprum" abitato all'epoca da coloni pietragallesi. Si tratta di un casale di Pietragalla, posto sulle alture del bosco Casalaspro, sovrapposto alla contrada Riseca. In questa zona si ritrovano resti di mura appartenente ad un castello, intorno al quale sorgevano le abitazioni dei coloni. Quelli che di essi sopravvissero al terremoto del 1456 si trasferirono in Pietragalla e precisamente nell'attuale Via Piave, cui diedero il nome di "Casale". Proseguendo per la Mancosa si scorgono le 2 torri di avvistamento della città. Oggi non molto visibili, infatti hanno la parvenza di archi che vanno ad unire due vicoli molto stretti. Oltre la Mancosa si intravedono le case vinicole "Grippo" e "Pipponzi". Di seguito scendendo c'è una vecchia forgia, ancora in uso detta "Magliuocco", la cui caratteristica è quella di essere sottoelevata rispetto alla strada. In questo punto si trova un centro vendita di artigianato locale.
Infine arriviamo alla chiesa di S.Antonio. Fu costruita nel 1600, ha la forma rettangolare e all’interno ci sono tre altari dedicati a S. Antonio, alla S.S. Trinità e a S. Donato. Inoltrandoci nel centro del paese, prima di ritornare al punto di partenza facciamo una piacevole sosta "fragrante e odorosa" presso il forno, per vedere infornare le tipiche focacce (pane morbido a forma di ciambella) che si gonfiano e si dorano velocemente al calore del fuoco; è possibile assaporare le pizze ed i biscotti tipici del paese. Riprendiamo dunque la passeggiata lungo il corso principale, per ritornare a S. Cataldo e di lì andare a visitare i "PALMENTI." Il percorso del Vino Se è vero che solo il palato può avvertire il grado di piacere che il vino infonde, sapere non solo quanto lavoro ci sia dietro un buon vino , ma anche la gioia e il coinvolgimento di un intero paese durante tutto il processo produttivo di questa bevanda, può far si che la piacevole degustazione sia accompagnata da sensazioni impensabili. Il vino di questa zona , pur non rivaleggiando come complessità o come struttura con altri vini più famosi , ha comunque saputo sfruttare le sue caratteristiche , la sua genuinità , i suoi profumi per ottenere un giusto successo presso tutti coloro che hanno la fortuna di degustarlo . Basti pensare che ancora oggi la vendemmia è eseguita completamente a mano e il processo di vinificazione segue strettamente dei canoni che dipendono dal vino che si vuole ottenere. Gran parte dell’economia del paese, si basava sulla produzione del vino. Un vero e proprio "percorso del vino" è parte integrante della struttura del paese. La produzione di questa bevanda cominciava dagli ampi e numerosi vigneti e dalla cura che richiedevano durante tutto il corso dell’anno. Intere famiglie erano coinvolte in queste attività. I nostri nonni ancora raccontano come il paese si svegliasse prima ancora dell’alba per dedicarsi a tutte le varie attività, comprese e soprattutto quelle legate alla produzione del vino. In molti facevano decine di chilometri a piedi per recarsi nelle campagne a prestare" i girnad’ a d’aut’ " (giornate per conto altrui) per guadagnare un minimo per il proprio sostentamento, o anche solamente per procurare per se e la propria famiglia un pasto sicuro. Infatti i proprietari terrieri erano tenuti a corrispondere ai lavoratori la paga giornaliera, ma anche un lauto pranzo al lavoratore e alla sua famiglia. Durante la vendemmia era una vera e propria festa in cui il lavoro era accompagnato da canti e pettegolezzi. La raccolta e la pigiatura dell’uva erano per lo più affidate alle donne, mentre gli uomini si occupavano del trasporto delle uve dai vigneti ai palmenti con gli " vuthnh" cioè grosse bigonce che venivano poste sui carri o semplicemente caricate su asini e muli. Arrivati ai Palmenti si procedeva all’operazione più importante: la pigiatura e la messa a dimora per la fermentazione delle uve. I Palmenti furono costruiti dai Francesi della Provenza ( ove ancora esistono simili costruzioni), durante la loro occupazione della Puglia e degli Abruzzi tra il 1528 e il 1798. Tali costruzioni, uniche in Basilicata sono comunque tipiche di Pietragalla e rappresentano un gioiello di questo paese in quanto molto rare. Si tratta di costruzioni scavate nel tufo, sovrapposte le une alle altre e divise da viottoli quasi ad imitazione di un piccolo paese. Il loro interno è costituito da cavità di diversa ampiezza e profondità, che avevano la funzione di grossi vasconi in cui era posto il mosto. Durante la fermentazioni delle uve, non era possibile entrare in questi angusti locali a causa delle forti e nocivi esalazioni di anidride carbonica. Per verificare l’avvenuta fermentazione e quindi la sicura accessibilità al loro interno, si utilizzava una candela accesa o vi si introduceva un canarino che grazie alla sua sensibilità a tali gas nocivi, faceva da spia ai prudenti vendemmiatori. Per purificare all’interno dei palmenti veniva introdotto un braciere. Avvenuta la fermentazione veniva estratto il vino novello e si procedeva alla ulteriore "spremitura" delle vinacce per mezzo di "sprmtor", opera di artigiani locali. Inseguito il vino era posto in barili e barilotti i "varrecchi" e "varrecchiedd" per il trasporto dai palmenti alle "rutte". Erano queste delle cavità poste a nord del paese, la parte più fresca e ventilata. Si trattava di lunghi cunicoli sottoposti al piano stradale e che si estendevano sotto il centro storico. Grazie alla loro configurazione e alla loro temperatura bassa e costante, era il luogo ideale per la conservazione del vino. Quest’ultimo veniva conservato in botti di quercia, castagno o rovere. Tali botti erano allineati all’interno delle rutte ed erano di proprietà di diverse persone. In origine per acquisire un posto botte l’interessato scavava nella roccia fino a ricavare una cavità idonea a custodirne la propria botte. In seguito questi" posti botte "venivano tramandati da padre a figlio o erano ceduti in cambio di soldi o terreni. Ancora oggi molte di queste " rutte ", vengono utilizzate per la conservazione del vino così come avveniva in passato. Sono ancora presenti le tre case vinicole (le cosiddette ‘tre gemelle’), attualmente in disuso, che venivano adibite alla produzione e smercio di vino da parte di grandi produttori.
Con l’avvento della tecnologia e con la diminuita produzione di vino, molte delle professioni artigianali sono scomparse, così come molti vigneti sono stati abbandonati. Tra le professioni ormai scomparse ricordiamo: i bottai, i cestai (che rivestivano damigiane, fiaschi e panieri), i mastari (costruivano basti e selle), i trainieri (che con i grossi carri si occupavano del trasporto di merci ), i varricchiari (cioè i barilai ), i pignattari (che costruivano mattoni, piastrelle e pignatte), i "fhrrari"(fabbri ferrai che fornivano utensili in ferro ma si occupavano anche della ferratura dei cavalli), gli scalpellini (squadravano pietre per costruzioni), le filatrici di lana. Scomparse del tutto le "calcare"(fornaci all’aperto per la trasformazione della pietra calcarea in calce viva), i forni a legna (ve ne erano ben sette!),le calzettaie, le magliaie, i mulini a forza idraulica, a carbone ed elettrica. Restano ancora alcuni fornai e calzolai. Tra i piatti tipici scomparsi ricordiamo "lu ruccl" (focacce di pasta di farina di granoturco), e "lu paniedd" (panella di farina di granoturco), entrambi cotti sulla "chianga" ossia su una sottile piastra di tufo o argilla refrattaria. Piatti tipici che invece si possono ancora trovare sono: "lu cutturiedd"(bollito di pecora e aromi vari), la "pasta con la meddeha" (pasta condita con sugo di baccalà e soffritto di mollica, uva passa, noci, mandorle, fichi secchi, zucchero. È un piatto che si consuma durante la vigilia di Natale); i "migliatiedd" (involtini di interiora ovine); "lu cavzon con la civodd" (dolce ripieno di soffritto di cipolla, uva passa, noci, fichi secchi, zucchero e aromi), "cavzon con la ricotta"(dolce ripieno di ricotta), la "cuccia"(zuppa a base di legumi e cereali vari), le "pastelle paisane "(biscotti tipici ), le "crustl" (frittelle tipiche) ed altro.
Vi aspettiamo a Pietragalla per gustarli insieme!